mercoledì 29 febbraio 2012

Sergio Pennavaria-"Senza Lume a Casaccio nell’Oscurità”


Vieni che andiamo a sentire Pennavaria”… “E chi è?”… “Ma dai… è molto conosciuto!”.
Mi occupo di musica quotidianamente, qualsiasi musica, purché di qualità, secondo i miei canoni. Eppure non sapevo chi fosse Sergio Pennavaria, un cantautore siciliano da anni residente a Savona. Questa è una prima nota che dovrebbe fare riflettere sulla difficoltà che tutti i musicisti “nuovi” hanno, alla ricerca continua di visibilità, che non significa ossessione del successo, ma voglia/necessità di  vivere una vita secondo le proprie passioni e il proprio talento.
Ho ascoltato un paio di pezzi, in uno spazio grazioso ma ristretto, e sono rimasto colpito da molte cose: il personaggio, il suo modo di esprimersi, i suoi messaggi e … i suoi musicisti.
Esattamente una settimana dopo ci siamo trovati per un caffè e sono nati i presupposti per l’intervista a seguire.
E’ stata anche l’occasione per entrare in contatto pieno col mondo di Sergio, attraverso il suo album “Senza Lume a Casaccio nell’Oscurità”, contenitore musicale che prevede la partecipazione di ospiti illustri, come Carlo Aonzo o Claudio Bellato, per citarne un paio che conosco personalmente.
L’impatto con la musica di Sergio mi ha portato ad immediato paragone con “il cantautore” del passato, figura di forte impatto simbolico, punto di riferimento, vate da seguire dal punto di vista politico o spirituale. Una definizione, quella del cantautore, sempre molto più ricca del semplice “musicista che scrive e interpreta le proprie canzoni”.
Sergio Pennavaria è tutt’altra cosa, e credo che, come Zibba, faccia parte di un filone musicale innovativo e trascinate, che ha il pregio di non essere costruito a tavolino, ma al contrario pieno di spontaneità.
Sergio racconta la sua vita- e di cose da dire ne ha-, momenti di sofferenza e gioia contrassegnati e contaminati dalle arti più varie e dal coraggio della vita di strada, quando necessario.
E nel suo racconto musicale, Jakyll diventa Hide, e Sergio cade in trance da performance, interpretando fisicamente la lirica in atto in quel momento.
Una metrica  costruita solo per lui, probabilmente difficile per qualsiasi altro interprete  che non abbia vissuto sulla propria pelle le stesse esperienze di vita, si mischia a musica di prim’ordine, tra jazz, blues e colorite spruzzate etniche. Giova a Sergio la vicinanza di grandi musicisti, come Loris Lombardo, Alessandro Graziano, Boris Vitrano, Federico Fugassa e Mirco Rebaudo, ovvero il gruppo base che lo accompagna dal vivo, e che già da solo sarebbe uno spettacolo, ma è proprio questa una delle chiavi di lettura di questo artista e del suo album… avere idee e talento supportati dalla tecnica e dal gusto di una vera band.
Gli “episodi” di Pennavaria fanno sorridere, fanno piangere, fanno riflettere, portano a differenti stati d’animo che sono  quelli che Sergio ha provato, ad esempio, nel suo periodo di “lavoro da metropolitana”, quando dalla mattina alla sera, con chitarra e voce in perenne utilizzo, la durezza della strada veniva compensata dalle formative esperienze quotidiane. I giorni duri non sono finiti, anzi, eppure occorre trovare un senso e qualche tipo di motivazione che spinga a provarci sempre, senza abbattersi ne esaltarsi.
E ora, un passo successivo mi sembra d’obbligo…



L’INTERVISTA
Ti ho “incontrato” casualmente, nel corso della presentazione del tuo album, alla Ubik. Mi sono bastati dieci minuti per capire che avrei dovuto approfondire e dopo una settimana ho avuto l’opportunità di conoscerti, a Savona, la mia… nostra città. Sei siciliano, hai vissuto in Calabria, a Roma, in Inghilterra, ma… cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto questo mondo ligure, così diffidente, così chiuso, soprattutto per chi è abituato alla solarità del meridione?
Credo che la nostra interiorità resti sempre e comunque il viaggio più sorprendente ed appagante che intraprendiamo giornalmente, il luogo, il contesto per me sono stati sempre dettagli, scatole da regalo dove potermi intrufolare per scoprire la sorpresa. Poi vorrei sfatare questo falso mito del ligure chiuso, il ligure è come una porta che lascia uno spiraglio, credo che anche lì conti molto quanto  curiosi e pronti siamo per l’effetto sorpresa!
Ho trovato un positivo contrasto tra te e gli elementi che ti accompagnano: tu capace di inventare e di esprimerti con tutto il corpo, istrione, comico, improvvisatore, e loro molto più “nella parte”, artisti che potrebbero condurre un concerto con uno spartito davanti. Eppure la miscela mi è sembrata esplosiva. Come giudicheresti questo mix?
Premetto che ognuno dei musicisti con cui ho la fortuna di suonare è caratterialmente molto diverso dall’altro, con storie di vita alle spalle differenti e, come è giusto che sia, con un approccio alla musica e al palcoscenico emotivamente diverso. Sicuramente sono entrati nel rischioso gioco dell’improvvisazione, del colpo di scena, momenti che durante un concerto personalmente mi aiutano a non prendermi troppo sul serio, e loro hanno dato sempre dimostrazione di stare piacevolmente al gioco. Credo che prima di mandare grandi messaggi, nella musica ci si dovrebbe saper divertire, legati sempre ad una coerenza riguardo i contenuti e mantenendo un’onestà artistica.
La tua biografia suggerisce numerosi spunti e curiosità. Mi spieghi quanto ti senti a tuo agio nella definizione di “Cantattore”?
Per rispondere a questa domanda sono costretto a ricollegarmi al concetto precedentemente espresso riguardo la coerenza artistica. Da sempre, sin da bambino, ho utilizzato i linguaggi dell’arte (disegno, musica, scrittura successivamente pittura, scultura e teatro) come tramite per potermi raccontare, e dato che trovo l’arte un terreno fertile per poter coltivare la verità, vivo la mia esibizione come un qualsiasi lavoro in cui bisogna adoperare la forza fisica e avere quindi una discreta resistenza; io quando canto e suono, soffro e fatico e la mia faccia non cela questa sanguinante condizione, ed ecco la smorfia che inevitabilmente verrà ricondotta al teatro, che sì ho frequentato, ma lungi da me l’ attribuirmi la nobile qualifica d’attore.
Esistono figure di artisti dove la capacità di esprimersi attraverso arti differenti non presenta confini, e sono frequenti i casi di pittori-cantanti o musicisti-poeti e così via. Avverti nel tuo caso una linea di demarcazione tra il tuo essere poeta e il tuo agire da cantautore?
Non credo d’essere un poeta e ti ringrazio per l’istante fugace trascorso in cui mi hai fatto anche solo immaginare di poter esserlo. Credo d’essere più un cantautore, ma per il mero fatto di scrivere, musicare e cantare le parole che poi nell’insieme danno vita ad una canzone. Comunque credo che l’uno possa assolutamente coesistere con l’altro, vedi De Andrè, Ferrè, De Gregori, Fossati ed altri.
Ho ascoltato con interesse il tuo racconto sul tuo passato da “musicista di metropolitana”, che tu mi ha spiegato sia stato un lavoro a tempo pieno, quasi come timbrare un cartellino. Come ti ha formato un’esperienza del genere?
Mi ha dato la possibilità di non dover ergere, tra me e chi mi ascolta,  barriere, dislivelli, un punto di vista sicuramente più a misura d’uomo, una prospettiva ad un unico livello, niente palchi, pedane, troni, solo occhi negli occhi con la gente e tanti artisti (veri artisti) conosciuti percorrendo le varie stazioni della metropolitana Rebibbia di Roma. Esperienza che mi ha fatto capire la differenza che esiste tra uno che crede d’essere ed uno che è! Purtroppo  capita spesso di assistere alla miseria del divismo che purtroppo si manifesta  spesso  tramite stratificazioni culturali o meglio, di bassa cultura. Questi artisti conosciuti in strada e in metrò mi hanno insegnato senza dirmi nulla, ma semplicemente con le loro azioni, quanto possa valere una persona umile, e nel loro caso un artista umile che si esprime con gioia allo stesso modo davanti ad una, dieci, cento persone, e non aspetta un applauso come risposta a ciò che ha fatto, ma solo vedere una faccia contenta!    
Se dovessi indicare “il colpevole”… quello che ti ha portato realmente sulla via della musica, con chi dovresti prendertela?
Nessun colpevole o meglio, tanti,  visto che sono il quarto di cinque figli, tutti,  chi più chi meno cantiamo, ed in tre scriviamo canzoni. I miei genitori cantavano, quindi facendo un breve calcolo… 
Che cosa non funziona, secondo te, in questo mondo musicale? Perché musicisti come te, che probabilmente qualche anno fa avrebbero “sofferto il giusto” per avere visibilità, rischiano oggi di soffrire tutta la vita?
Troppa gara, ci fanno concepire la musica come strumento, o meglio arma, da utilizzare per competizioni che in realtà servono ad allontanare, rendere antagonisti chi si serve del veicolo di maggior aggregazione del mondo culturale, appunto la musica. Credo che sia un fatto prettamente di educazione mediatica e che in diverse amministrazioni comunali si tende spesso a spendere e spandere per la stella del momento e contrariamente si polemizzi troppo per pagare un rimborso spese a chi ancora sogna guardando le stelle, quelle vere però, quelle  che stanno in cielo. Comunque credo che ormai tutti sappiano che l’Italia non sia il massimo esempio per ciò che concerne la meritocrazia. Si è troppo abituati a comprendere (quando si comprende) con i tempi del web; ormai non interessano, e questo credo in tutto il mondo, analisi, riflessione e contemplazione, si dedicherebbe a queste forse troppo tempo prima di procedere e passare al giudizio e quindi alla scelta personale. Tanti, troppi venditori di fumo e tanti creduloni che comprano questo fumo credendo di trattenerlo in un pugno in eterno… prima o poi gli scapperà uno starnuto no?
Mi hai detto come alla fine di una performance tu sia quasi stravolto, persino irriconoscibile mentre canti e suoni. Che cosa significa per te esibirsi dal vivo?
Per me esibirmi significa alzare il volume ai miei pensieri, alle mie tensioni, ai miei entusiasmi. Significa come ti dicevo prima sanguinare, irrigidirmi per poi lasciarmi andare quasi in caduta libera. Per me significa semplicemente confessarmi!
Quando leggo la parola “cantautore”, la mia mente corre in automatico alle figure carismatiche degli anni ’70, a volte incomprensibili nel loro esercizio intellettuale quotidiano. Esistono però figure nuove- per restare in ambito cittadino, oltre a te apprezzo molto Zibba- che stanno disegnando un ruolo nuovo, dove esiste un personaggio, un messaggio esposto in modo originale e grande musica. Non pensi che questa sia un po’ l’evoluzione di quell’uomo solitario che si poneva di fronte al pubblico con la sola chitarra?
Credo che gli uomini solitari siano stati protagonisti di tutte le epoche e non solo degli anni ’70, e qualcuno capita di vederlo ancora oggi in giro. Non penso esistano differenze tra cantautori per quanto riguarda l’atto creativo, poiché il fine resterà sempre per tutti la necessità di raccontare. La differenza sarà solo stilistica e di quanto si voglia fare subentrare la politica nella musica. I cantautori degli anni ‘70 l’hanno fatto sicuramente più di noi o forse il loro messaggio è stato più esplicito.
Mi racconti un aneddoto, un incontro davvero significativo, magari anche negativo, che ha caratterizzato il tuo percorso di vita?
Credo che l’aneddoto più significativo che mi è capitato nella mia vita risalga ad un anno fa ed è stata la morte di mio padre. Credo abbia caratterizzato e segnato profondamente su diversi fronti la mia vita.
Sei giovane ma hai già percorso una bella fetta di strada. Esiste qualche rammarico per un’azione che non hai intrapreso per eccesso di cautela?
Per abitudine o per eredità vivo il rammarico come stimolo a far si che la qualità della mia vita possa seguire una corrente diversa, essendo assolutamente impreparato a cosa potrei andare in contro; sono un impulsivo e tutto quello che ho fatto o che non ho fatto è stato sempre elaborato nell’attimo, e passionalmente  sentito, voluto o non voluto, nel medesimo attimo.    
E ora sogna- almeno i sogni nessuno può rubarceli-. Cosa vorresti ti capitasse, musicalmente parlando, da oggi al 2015?
Suonare tanto da Nord a Sud e promuovere “Senza Lume A Casaccio Nell’Oscurità”, mio ultimo lavoro discografico, per farlo conoscere un po’ in giro e nel frattempo lavorare sul prossimo che sarà un progetto strettamente legato alla mia isola, la Sicilia. Avrò nel 2015 quarant’anni e forse avrò l’età giusta per essere sufficientemente credibile e confessare alla mia terra che in fondo non l’ho mai dimenticata. 



Un po’ di storia…
Sergio Pennavaria nasce a Siracusa il 21 febbraio del 1975. Cantautore e pittore consegue il diploma di laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria ottenendo la valutazione di 110 e la lode discutendo una tesi in storia dell’arte dal titolo “La maschera del volto”, focalizzando la propria attenzione sull’utilizzo della maschera in senso antropologico, pittorico, cinematografico e teatrale. Per l’occasione scrive una commedia brillante: “ Ring ” curandone regia, trucco, scenografia e partecipando come attore. Grazie ai genitori, entrambi cantanti, ancora bambino, i suoi ascolti musicali variano dalla musica italiana d’autore, passando da Elvis, Polanka sino ad i Beatles band amata dal padre. L’approccio alla musica, alla scrittura e quindi alla canzone avviene prestissimo, quando a 12 anni orienta il suo interesse all’ascolto dei cantautori degli anni 70. Infatti è proprio a questa età che inizia a strimpellare la chitarra della sorella e a 13 anni la prima canzone, ed un patto intimo e fedele con lo strumento di cui ancora oggi si serve per la composizione e la rappresentazione dei suoi brani. Nel 1993 in Sicilia con il brano Francesco, partecipa alle selezioni per il festival della canzone italiana di Sanremo, è il cantautore più giovane in gara e supera la fase regionale, ma non ha etichetta discografica e decide di abbandonare le selezioni. Le prime registrazioni risalgono allo stesso periodo, infatti registra quattro brani nello studio discografico “Le Ciminiere” di Catania. Dopo una serie di concerti con band locali, nel 1996 lascia la Sicilia trasferendosi a Reggio Calabria. Qui frequenta l’ambiente universitario della città, in particolar modo instaura dei rapporti artistici con alcuni studenti della facoltà di Architettura che gli danno la possibilità di inserirsi subito in certi contesti culturali. Dopo due anni decide di andare via e di dirigersi questa volta a Roma, dove per un intero anno farà l’artista di strada o meglio di “ metropolitana ”. Infatti vivrà questa esperienza giornalmente sulla linea Rebibbia. In questo periodo si esibirà pure in alcuni Pub della capitale. Alla fine dello stesso anno decide di andare a Londra, dove vivrà per quasi un anno. La metropoli inglese allarga gli orizzonti al giovane musicista che qui ha la possibilità di assistere a numerosi concerti e conoscere musicisti arrivati da ogni parte del mondo. Nel frattempo in lui inizia a fermentare la passione per il cinema ed il teatro. Ama in maniera particolare lo sceneggiatore, regista e musicista serbo Emir Kusturica. Grazie all’ opera cinematografica del regista ha modo di ascoltare per la prima volta il bosniaco Goran Bregovic il quale compone le colonne sonore di alcuni film del regista. Pennavaria si appassiona ai temi zigani e slavi meridionali, alla musica polifonica popolare dei Balcani.
Nel 1999 ritorna a Reggio, dove conosce il crotonese Giovanni Squillacioti, raffinato percussionista con cui un anno dopo daranno vita al progetto musicale dei Calìa. La band, con l’aggiunta della presenza scenica di Pennavaria, propone un connubio musicale che spazia dalla musica balcanica, a quella araba e del mediterraneo in genere. I Calìa hanno partecipato ad alcune rassegne musicali, a concerti in pub e piazze di alcuni comuni sparsi sul territorio calabrese e siciliano e, grazie ad una grande passione per il teatro di strada, nei vicoli di alcuni centri storici. Nel 2001 Pennavaria ritorna in Sicilia, a Catania, dove vivrà per due anni dedicandosi alla pittura. In questo periodo partecipa ad una serie di esposizioni pittoriche e scrive due racconti: “Il bosco incantato” ed “Il caso Giuly Anderson”. Questo è l’anno che lo vede pure presenziare in una mostra collettiva di design dal titolo “PROGETTO SEDIA”, tenutasi in uno spazio commerciale della città. L’artista presenta un’ opera ricavata con oggetti di riciclo. Un’ istallazione che mostra una colonna vertebrale sospesa su di una sedia senza fondo dal titolo “to be or not to be” che spiega il rapporto uomo-tecnologia ed un’ ipotetica mutazione genetica dell’uomo come conseguenza.  Nello stesso periodo con i Calìa partecipa ad una serie di concerti e ad una rassegna musicale sul tema letteratura –musica.  Frequenta un laboratorio teatrale curato da Gioacchino Palumbo, suo docente di storia dello spettacolo, ma soprattutto noto attore/regista teatrale catanese. Inizia quindi, la sua esperienza da attore soprattutto in alcuni cortometraggi : Sogno di un feticista(2003) di Valerio Conforti, Le avventure di pinocchio (2004) di Sergio Pennavaria e Valerio Conforti. Di questo corto scriverà la sceneggiatura, ne curerà la regia, il trucco e la colonna sonora. Franke Love (2004) di Orazio Sturniolo con cui si piazzeranno al secondo posto del festival nazionale del cinema Trash a Roma. Senza sguardo (2006) di Valerio Conforti, Ulisse ha avuto solo fortuna (2007) di Valerio Conforti di cui Pennavaria oltre a sdoppiarsi in due personaggi, il vecchio protagonista ed il giovane nazista,  scrive di questo corto la colonna sonora che poi eseguirà in collaborazione con il chitarrista Filippo Postorino. Springtime (2007) di Giacomo Triglia che partecipa al Film Festival di Torino. Poi il teatro: Ring(2004) con Sergio Pennavaria, Valerio Conforti, Christian Schirripa di Sergio Pennavaria, piece teatrale presentata in occasione della rassegna artistica “ Una Casa per l’Arte” svoltasi nel comune di San.Giovanni in Fiore (Cs). Titolo non pervenuto(2005) di Orazio Sturniolo, piece teatrale presentata in occasione di una conferenza per l’università di Messina sul tema “ La letteratura nel teatro”, di Antonin Artuad. Gente di Aspromonte(2004/06) tratto da un racconto di Corrado Alvaro con Americo Melchionda e Maria Milasi. Per quest’ultima commedia compone pure la colonna sonora. Nel 2004 ritorna a Reggio Calabria ed è in questo periodo che partecipa alle selezioni Premio Recanati per la canzone d’autore, ricevendo parole d’elogio da parte della giuria di qualità per il brano Alì Babà. Nel 2005 le collaborazioni con il chitarrista Filippo Postorino e la registrazione di un demo con sei tracce prodotto dall’amico Joe Mannarino che ne curerà pure la grafica della copertina. Conclude il percorso universitario. Nel 2007 si trasferisce in Liguria, a Savona. Tra i comuni di Varazze ed Andora insegnerà per circa due anni educazione artistica. Recitazione a Savona, per poi la sera svolgere l’attività di barman in un locale della città. Apre i concerti di alcune band liguri come A Brigà ed Il ponte di Zan, per il cantautore Zibba. Nell’estate del 2008 partecipa al festival M&T (Musica e Teatro)svoltosi nel comune di San Bartolomeo a mare (Im). Nel 2009 nasce un nuovo progetto, Senza Lume A Casaccio Nell'Oscurità, titolo di un recital scritto dall'artista contenente monologhi che man mano  che lo  spettacolo sui evolve fanno da premessa alle canzoni. Lo stesso titolo darà il nome all'album in uscito nel Novembre 2011. Vincitore del Su La Testa Contest 2011. Ad accompagnare in questo viaggio il cantattore (come qualcuno ha amato definirlo) i musicisti: Alessandro Graziano (violino, chitarre, cori), Boris Vitrano (chitarre), Federico Fugassa (basso elettrico e contrabbasso), Mirco Rebaudo (sax,clarino), Loris Lombardo (batteria, percussioni e colori).
Dicono di lui…
Sergio Pennavaria ha tutto il mestiere dell’artista di strada, del busker, sempre pronto ad offrire un numero ad effetto, sempre scanzonato e circense per intrattenere il gentile pubblico, salvo poi destabilizzarlo in un sol colpo con la mimica selvaggia e il sottile disincanto dei suoi testi.
Camaleontico nello stile, in lui è chiara l’impronta della musica tradizionale del Sud Italia, ma sono altrettanto evidenti le contaminazioni balcaniche e arabeggianti e le suggestioni che tende a creare attraverso la sintesi di elementi teatrali e pittorici. In polemica con la realtà che lo circonda, Pennavaria aggredisce i simboli dell’autorità e dell’omologazione,come nella metaforica Il mercato dell’obbrobrio, dove non ci sono bancarelle ma solo sguardi in terra e ogni cosa fa paura, o in Tropea, città che fa da sfondo alla tradizionale diffidenza e ottusità dell’ordine costituito verso la creatività e la cultura. Le sue canzoni sono spesso dei veri e propri inseguimenti, montagne russe, cascate di parole, scioglilingua che portano al capogiro, all’iperventilazione, tanto che un inaspettato blues o una ninna-nanna sembrano pause dovute prima di sfinirsi nella tarantella.
Con la nuova formazione il sound è diventato più raffinato, a tratti jazzato, ma Pennavaria mantiene la sua visceralità  i toni sarcastici e surreali, i precari equilibrismi del giocoliere.

martedì 28 febbraio 2012

Gigi Venegoni



Il 21 gennaio scorso, il ProgLiguria di La Spezia mi ha dato la possibilità di ascoltare alcuni musicisti che non avevo mai  avuto occasione di vedere dal vivo. Tra questi il mitico Gigi Venegoni degli Arti & Mestieri. Alla mia successiva richiesta, avente come obiettivo uno scambio di battute, Gigi ha risposto immediatamente, e l’intervista a seguire mi sembra un documento interessante da cui trarre spunto, perché supera l’ovvia “intrusione” nel personale per cercare risposte di carattere generale sulla musica e sul suo stato attuale. Impossibile non utilizzare l’esperienza di Venegoni!                      
Per saperne di più visitare il sito ufficiale:


L’INTERVISTA

Parto obbligatoriamente dal giorno in cui ti ho conosciuto da vicino, quel 21 gennaio in cui a La Spezia abbiamo vissuto, con ruoli diversi, il ProgLiguria, un contenitore che passerà alla storia, ma che ha visto una scarsa presenza di pubblico, non adeguata ad evento e protagonisti. Che giudizio ti senti di dare di quella giornata?

Sarò sincero: sono rimasto un po’ deluso dalla scarsità di pubblico. Non voglio entrare nel merito, visto che la musica di nicchia è molto sacrificata nel nostro paese, però mi sarei aspettato che un evento del genere riuscisse a radunare almeno un migliaio di persone. Nel complesso è stato un bel concerto ma con qualche problema organizzativo e, temo, uno scarsissimo impatto sul ritorno economico per gli alluvionati.

Ho letto con attenzione ciò che nel tuo sito compare sotto la voce “Filosofia”, una nota che evidenzia - anche- il contrasto tra la buona musica e la difficoltà di farla arrivare alla gente. Come è cambiato questo mondo dai tuoi inizi ad oggi? E’ davvero positiva quella che generalmente viene chiamata “evoluzione”?

Non nascondiamoci dietro un dito: la crisi economica ha impattato sul mondo reale in una misura del 5-10% dei redditi globali. Sul settore musica ha prodotto un calo dei consumi che va dal 15/20% negli Usa, al 75/80% da noi. Io avevo una solida attività di compositore e arrangiatore che è calata del 75% in dieci anni. Questo fatto che la musica è diventata “gratis” non tiene conto del problema della sopravvivenza dei musicisti di nicchia. Quando io ho cominciato nel ’74 esistevano etichette, radio e managers che credevano e investivano nella musica alternativa, e la facevano vivere e diffondere. Non dimentichiamoci che siamo stati noi italiani a mandare i Genesis o i Van Der Graaf in testa alle classifiche. Gli A&M suonavano spesso di fronte a 2000/3000 spettatori in teatri e festival all’aperto, oggi quella realtà è impensabile: chi fa musica prog deve rassegnarsi, almeno in Italia, ad un nobile precariato. Concludo: per quello che mi riguarda non percepisco una significativa “evoluzione” delle nostre esistenze.

Sempre restando sul discorso “sito”, ho visto una buona cura ed una valida organizzazione, fatto positivo perché trattasi di spazio che spesso è un biglietto da visita. Cadendo però sulle “news” ho notato lacune di aggiornamento sulle date dei concerti.  Deluso dai risultati ottenuti dalla visibilità in rete? E ancora… che rapporto hai con le nuove tecnologie in genere?

Cerco di chiarire: Venegoni & Co. è un workshop più che un gruppo stabile. Ci sono state almeno quattro o cinque reunions in 30 anni, con formazioni diverse e diversi scopi. Questa flessibilità comporta un genere di attività artistica molto discontinua: ne deriva che il sito è fermo all’ultima avventura del gruppo con la pubblicazione del cd “Planetarium” e una ventina di date tra 2007 e 2008. Poi ci siamo fermati e stiamo riprendendo proprio in questi giorni. Io ho suonato molto con il gruppo Nuvoleincanto per gli spettacoli su “De Andrè” e su la “500 Gialla” (due CD pubblicati per Felmay), con gli A&M (Traffic-Torino / Tokyo Festival Prog e Roma-ProgExhibition) e con varie altre formazioni. Credo che la rete costituisca il futuro promozionale delle musiche di nicchia ma, come al solito, in Italia non c’è un gran budget per noi musicisti e questo comporta il fatto che ti devi fare tutto da solo. Provare, suonare, arrangiare e incidere dischi porta via molto tempo e io, francamente, non posso dedicare tre o quattro ore al giorno al web, quindi aggiorno il sito solo quando il gruppo si muove.

Siamo sempre molto critici quando abbiniamo la parola “cultura” allo stato in cui viviamo, l’Italia, ma spesso mi viene da pensare che noi cittadini comuni non siamo esenti da colpe. Non è cosa complicata, costosa o pericolosa, ad esempio, la realizzazione di un concerto in una scuola superiore o una università      (come accade all’estero), dando  così la possibilità di fornire visibilità tanti bravi giovani musicisti e al contempo proporre alternative a chi spesso non ne ha o non ne cerca. Sono lontano dalla verità?

Sfondi una porta aperta: in Italia vige un regime di profonda “pigrizia culturale”. Nel mondo della cultura (Lirica, Teatro, Cinema) gli operatori vivono nella convinzione che tutto debba essere garantito dallo stato con finanziamenti che coprano tutte le spese. Poi se si guadagna tanto meglio, ma l’imperativo è “non rischiare nulla”. Nella musica rock e pop i finanziamenti sono ben pochi e, di conseguenza, c’è poca iniziativa imprenditoriale tranne, ovviamente, per i business legati ad Amici ed XFactor o al Festival di Sanremo, che sono i responsabili della sordità musicale degli italiani! Se penso che la persona più importante della discografia italiana è , allo stato attuale, la signora De Filippi mi viene un malore!

Arti e Mestieri… Crovella… Chirico…Venegoni… Electromantic…  quanto conta l’amicizia nel mondo della musica? Si  può essere solo “professionali e professionisti” per raggiungere obiettivi di qualità?

Non scherziamo: conta l’amicizia, la stima, il carattere e la compatibilità. Di fatto A&M esistono da 38 anni con cambi di formazione, evoluzione nello stile e nelle strategie, ma con una costante formula creativa che ne contraddistingue il sound. Il professionismo va bene per i turnisti e per le sessions di un giorno, per stare in un gruppo ci vogliono delle affinità, degli intenti comuni e il rispetto reciproco. Io, Crovella e Chirico siamo riusciti a mantenere un “filo rosso” che ci ha portati dal ’74 ad oggi.

Se ti guardi indietro e ripensi alle tue scelte e alla tua vita musicale, hai qualche rammarico per un treno che hai lasciato passare per eccesso di cautela?

Nessun rammarico: ho fatto il musicista per 40 anni con buone soddisfazioni artistiche e professionali. Forse avrei potuto privilegiare un po’ più il “live” rispetto allo “studio”, ma il fatto che io mi senta più compositore e arrangiatore che performer ha condizionato le mie scelte. Ho lavorato per la pubblicità (500 jingles nazionali), per i grandi eventi (Olimpiadi, Conventions , Eventi sportivi), per colonne sonore per la tv, per 30 Musei e per un sacco di dischi, quindi le soddisfazioni non sono mancate. Oggi sono tornato al “live” e questo mi da molte soddisfazioni.

Mi indichi un paio di aneddoti della tua vita “lavorativa”, uno positivo ed uno negativo, che ricordi  con particolare forza?

L’evento che cito sempre è “Il concerto per Demetrio” all’arena di Milano nel Giugno ’79: trenta artisti che celebravano il più incredibile cantante italiano davanti a 65.000 persone! E’ stato un evento drammatico, per la morte di Demetrio, ma di grandissima intensità. Tutti amavamo questo genio della musica italiana ed eravamo emozionati e devastati da quanto era successo e dalla incredibile risposta del pubblico! Uno negativo: nel ’79 ero riuscito a proporre e produrre il gruppo rock “Mixo” per l’etichetta “Ascolto” di Caterina Caselli. L’atteggiamento dei musicisti e una serie di sfortunati eventi ha fatto andare tutto in malora e io mi sono giocato il futuro da produttore nella discografia italiana!

Esiste una band o un musicista che è rimasto negli anni una sorta di tua guida, fisica o spirituale, a cui fare riferimento?

Io ho vissuto di musica per quasi tutta la mia vita. Sono transitato nel periodo più strabiliante della storia della musica e ho assorbito l’influenza di tantissimi artisti. In realtà qualcuno mi identifica con un chitarrista “prog”, ma io credo di avere allargato molto i miei orizzonti. Partito dall’innamoramento totale per i Beatles ho accumulato molte “pietre miliari”: Stravinsky, Miles Davis, Robert Fripp, John McLaughlin, Weather Report, Joni MItchell, Pat Metheny e tante altre influenze.  Se dovessi proprio fare un nome direi che Miles Davis è il personaggio che mi ha più impressionato per la sua capacità di catalizzare e indirizzare grandi talenti.

Accantonata  da tempo l’illusione che la musica possa cambiare il mondo, qual è secondo te il suo vero ruolo, in un momento così drammatico della nostra vita quotidiana?

L’arte in generale, se compresa e assaporata nelle sua reale essenza, ha un grande valore di nutrimento dell’esistenza. Il tentativo di cambiare il mondo era più nei concetti legati alla musica che alla musica stessa. Ideali e principi valgono per il periodo in cui vengono elaborati, ma poi rischiano di scomparire od evolversi. La musica rimane e chi sa apprezzarla ne trae grande soddisfazione. Prova ne è il fatto che apprezziamo ancora tantissimo la musica degli anni ’60 e ’70, che non è invecchiata come le ideologie del momento. Io dico sempre una frase : “Per giudicare ed apprezzare un musicista mi faccio sempre guidare dall’emozione e mai dal giudizio tecnico”, e infatti, in qualche concerto dei grandi, mi è capitato di piangere per la commozione!

E ora un sogno… cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, da qui al 2015?

Spesso, scherzando, dico che aspetto il mio “Buena Vista Social Club”, cioè il grande successo a sessantanni! In realtà il sogno sarebbe quello di raccogliere tutti i fan della mia musica per celebrare un grande evento di condivisione di quello che ci piace. A Tokyo, lo scorso novembre, è successa una cosa simile: ottocento fan adoranti che hanno pagato un biglietto carissimo per sentire gli A&M, hanno comprato 250 cd e 100 magliette, hanno applaudito per cinque minuti e ci hanno aspettato fuori dal teatro per gli autografi! Io mi pizzicavo spesso per essere sicuro che non fosse un sogno!!!




LA STORIA DELLA BAND


Il gruppo Venegoni & Co. nasce nel 1977, un anno dopo che il chitarrista Gigi Venegoni abbandona gli Arti & Mestieri. La caratteristica essenziale della formazione è quella di possedere una struttura aperta ed una gerarchia molto democratica. I musicisti si avvicendano nelle successive formazioni, liberi di esprimere a pieno la loro musicalità ed d’inventare nuove forme di interpretazione del sound del gruppo. Venegoni & Co si esibisce in un centinaio di concerti tra il ’77 ed il 1980, alcuni dei quali vengono registrati e solo di recente pubblicati su cd. Nel medesimo periodo registra “Rumore Rosso ” e “ Sarabanda” per l’etichetta milanese Cramps Records. L’ attività live del gruppo avrà il suo apice davanti a settantamila spettatori nel commovente “Concerto per Demetrio Stratos ”, di cui rimangono testimonianze nel doppio cd della Cramps e nelle riprese televisive effettuate dalla Rai. Alla fine del 1980 il gruppo si scioglie, principalmente per due ragioni: la difficoltà di tenere insieme sei musicisti dei quali tre torinesi e tre milanesi e la sempre crescente scarsità di occasioni per suonare  live. Negli anni ottanta Gigi Venegoni realizzerà due registrazioni (Mosaico e Nocturne) senza riuscire a riformare il gruppo. Per continuare a suonare live Venegoni forma il Dynamic Duo con Silvano Borgatta, tastierista proveniente  dall’ultima formazione di Venegoni & Co. Il duo si esibisce in molti concerti con l’aiuto di una complessa strumentazione elettronica (computer+drum machines) sperimentando le nuove possibilità offerte dall’avvento del sistema midi. Dal ’79 al ’90 Gigi Venegoni si specializza nell’utilizzo della midi guitar, diventando anche dimostratore ufficiale per varie aziende e riversando queste esperienze nel cd “Nocturne” dove suonerà esclusivamente  questa versione elettronica della chitarra. Dopo un lungo silenzio, nel 2001 viene ristampato dalla Edel “Sarabanda ”  il Cd più importante del gruppo. Di seguito vengono rimasterizzate alcune registrazioni live che vengono pubblicate nei cd “Rumore Rosso Vivo ” e “Somewhere in The Seventies” e, di conseguenza, viene anche ristampato in cd il primo lavoro “ Rumore Rosso” . Nel 2006, su invito di Beppe Crovella, proprietario dell’etichetta Electromantic Music, e su richiesta di un discografico Giapponese, Gigi Venegoni decide di comporre, produrre e registrare “ Planetarium”, il nuovo Cd della formazione, avvalendosi della collaborazione di alcuni dei migliori musicisti torinesi, tra i quali spicca Piero Mortara, esperto tastierista e fisarmonicista, che lo affiancherà nei 12 mesi di lavoro necessari a realizzare gli otto nuovi brani.

lunedì 27 febbraio 2012

Delsaceleste-“La Fabbrica dei Ricordi”


Le dichiarazioni di intenti, in campo musicale, sono spesso la sottolineatura della propria filosofia musicale. Parlare di album concettuale-questo è ciò che accompagna la promozione del nuovo album di Delsaceleste/Marco Del Santo, La Fabbrica dei Ricordi”- suonerebbe strano se si restasse fermi al binomio concept album/Prog ’70. In realtà è sufficiente possedere un unico filo conduttore che leghi i vari episodi di un percorso musicale, per poter affermare che … non si è andati fuori tema annunciando i propri intenti. I brani che compongono l’album potrebbero essere “venduti” separatamente, brillando di luce propria, ma la forza vera de “La Fabbrica dei Ricordi” è il donare all’ascoltatore la possibilità di unirsi al viaggio che l’autore compie assieme alla persona da lui scelta, seguendo da vicino, ma defilato, il "muoversi" tra le stanze, il camminare tra i ricordi, ripercorrendo sentieri tinti di tristezza che obbligatoriamente riportano a situazioni personali…

Danzan veloci attorno a noi / I nostri giorni
tu ti ci aggrappi fin che puoi / poi li racconterai

Le stanze si susseguono, i ricordi sgorgano spontanei e nel gioco interattivo che Delsaceleste riesce a provocare,  mi sono chiesto se sia sempre utile ricordare, se sia sempre positivo ritornare su momenti che, magari carichi di euforia all’origine, si trasformano in gocce di dolore nel momento in cui si realizza che … non ritorneranno più… sicuramente non con quell’abito.
E una volta in viaggio non ci si può più sottrarre perché anche nel buio più totale le cose posso accadere, basta volerlo …

Chiudi gli occhi e poi/ sforzati a vedere
Anche il buio sai / è pieno di colori / sapori / colori / sapori

E alla donna che cammina al tuo fianco vorrai raccontare, descrivere ogni angolo del tuo passato, cercando di condividere antichi pezzi di vita, mettendo in conto che non tutto verrà compreso o accettato, e ancora una volta le delusioni si mischieranno agli attimi felici, ma ogni sforzo verrà compiuto, sino al raggiungimento dell’obiettivo…

Lascio affluire le parole che ho da dirti
Ti lascio i miei pensieri in lievi melodie
Lascia germogliare i tuoi sogni più nascosti
Lascia che io provi a raccoglierli

Grande sensibilità, grande capacità di esternare, grande coraggio nel mettersi a nudo, grande progetto capace di risvegliare sentimenti che, spesso per scelta, si tende a lasciar sopire.
“La Fabbrica dei Ricordi” è un’esperienza da vivere, anche se capace di  scatenare una “contenuta sofferenza”.
Una bella sorpresa Delsaceleste… davvero da condividere!





L’INTERVISTA

Quando e come nasce il tuo amore per la musica? Esiste un musicista/band che ti ha da subito influenzato e ancora oggi resta la colonna sonora dei tuoi momenti di vita?

I miei più lontani ricordi musicali sono legati alla prima infanzia, al giradischi dei genitori,  al fascino dei suoni che emergevano dal silenzio appena posata la puntina, qualche istante dopo il misterioso crepitio iniziale. Se devo citarti invece una band le cui opere hanno segnato profondamente alcune fasi essenziali della mia vita, ti dico senza dubbio Pink Floyd.

”La Fabbrica Dei Ricordi” è presentato come un concept album, formula tipica di un certo periodo –anni ’70- e di un certo filone musicale-il prog-. Che cosa ti affascina della trama unica che unisce i vari brani?

La possibilità di seguire un percorso narrativo arricchito dalle potenzialità espressive e drammaturgiche proprie della musica, la reciproca amplificazione semantica  tra dimensione  testuale e sonora.

Mi è capitato di ascoltare concept solo strumentali, e quindi tali solo nella mente di chi li ha composti/eseguiti. Pensi sia immaginabile raccontare le tue storie- a tratti- in assenza di liriche? Che tipo di emozioni ti da la musica scevra dai testi?

Certamente, spesso anche soltanto un semplice frammento musicale può trasmetterci delle sensazioni che faremmo fatica ad esprimere attraverso il linguaggio verbale.

L’ascolto del tuo album mi ha lasciato una sorta di ” tristezza contenuta”, legata ad emozioni ed esperienze che toccano un po’ tutti, anche se trasformarle e musicarle come hai fatto tu è operazione tutt’altro che semplice. Cosa ti ha procurato la creazione dell’album e cosa ti procura ogni nuovo ascolto?

Mi è rimasto impresso un ascolto dell’album, che feci diverse settimane dopo la conclusione della sua produzione; ero in auto, e mentre guidavo mi scorrevano davanti gli istanti più intensi trascorsi con coloro che hanno collaborato con me alla realizzazione del disco, per la maggior parte persone a cui sono legato in modo affettivo oltre che professionale; è stato un momento importante, perché ho sentito che la musica riusciva ad evocare l’importanza di scoprire e condividere sé stessi ogni giorno della nostra vita.

Mi dai un tuo giudizio legato allo stato attuale della musica, tra businnes, internet e talent show?

Penso che ci siano in giro idee molto interessanti ed autori di ottima qualità, ma sfortunatamente spesso hanno poca visibilità mediatica; chi ama la musica deve fare il piccolo sforzo di andare oltre a ciò di cui siamo quotidianamente inondati per potere godere di prodotti sonori dotati di autenticità e originalità.

Quanto ami la fase “studio” e quanto quella “live” ?

Amo la gioia di creare, di costruire passo dopo passo ciò che freme nella mia mente e assistere gradualmente alla sua cristallizzazione durante la fase studio, e l’emozione di trasmettere in modo diretto e “vivo” le sensazioni connesse a questo processo durante i live.

Esistono teorie che legano particolari filoni musicali alla regione di appartenenza. Quanto ha influito la “tua terra” sulla formazione musicale e culturale?

Personalmente non ritengo che ci sia stato questo particolare tipo di influsso sulla mia formazione culturale e artistica.

Dimenticavo… perché “Delsaceleste”?

Delsaceleste nasce dall’unione tra il diminutivo del mio cognome, Delsa (da Del Santo), usato comunemente da amici e conoscenti, e Celeste, il nome della protagonista di un racconto che scrissi alcuni anni fa e a cui sono rimasto emotivamente legato, poiché connesso significativamente al principio della mia attività creativa; il celeste è inoltre uno dei miei colori preferiti!

Cambieresti qualcosa del le tue scelte pregresse? Hai qualche rammarico per un treno che non ti sei sentito in grado di prendere?

Credo di essere una persona che si impegna sempre allo stremo per raggiungere i propri obiettivi, e ovviamente mi capita di scontrarmi con i miei limiti, ma in ogni caso cerco di trarre soddisfazione per ciò che viene raggiunto e insegnamento e stimolo da ciò che resta ancora da conseguire.

E ora un sogno … da realizzare entro i prossimi tre anni.

L’album successivo a “La Fabbrica dei Ricordi”, sul quale sono già al lavoro da qualche tempo e che dovrebbe intitolarsi “La Metamorfosi”, sarà una sorta di racconto sonoro, con frammenti testuali alternati alle diverse canzoni, e la mia ambizione sarebbe quella di accostarvi un allestimento scenico oltre che di coinvolgere come per il disco precedente alcuni artisti che ne sviluppino la dimensione visiva con foto e video.



BIOGRAFIA
Delsaceleste è la creatura artistica del cantautore milanese Marco Del Santo. I primi passi del progetto solista di Marco, da anni attivo nella scena come batterista, cantante e compositore, risalgono all'autunno 2006, con la realizzazione dell'ep "Sogni di sabbia". Uno dei punti chiave del suo stile è la volontà di riallacciarsi secondo modalità personali alla tradizione dei concept album, proponendo opere musicali dotate di una propria coerenza strutturale interna, in cui i diversi brani si intrecciano e si richiamano tra di loro, veicolando un contenuto narrativo. Nel novembre 2008 viene pubblicato il primo album di Delsaceleste, "Io come...la voce della stagioni", che ottiene ottimi riscontri critici. Secondo Giulia Salvi (RockIt, Virgin Radio), il disco "vuole riprodurre il succedersi delle stagioni come se fosse un viaggio in bicicletta, tra sentieri, profumi e immagini di vita. Con sonorità magiche ed avvolgenti, Delsaceleste ci rende partecipe degli scenari che si presentano davanti ai suoi occhi e ci lascia fluttuare in un mare di emozioni che scorrono insieme al passare dei mesi". L'ultimo lavoro di Delsaceleste, "La Fabbrica dei Ricordi, edito da New Model Label, è stato presentato in anteprima con un evento culturale tenutosi tra il 10 e il 20 Giugno 2011 presso lo spazio espositivo Sassetti Cultura di Milano; all'interno dell'evento, le opere di alcuni artisti ispirate alle tematiche del concept, la proiezione del video del singolo "La Stanza degli Incanti", nonché di foto tratte dal backstage del videoclip, e performance live. Il disco e la mostra annessa attirano l'attenzione di addetti ai lavori sia in ambito musicale che artistico. "La Fabbrica Dei Ricordi" è un concept album sull'esplorazione e la rivelazione di se stessi; un percorso sonoro in cui il protagonista invita la persona che ama ad attraversare con lui le diverse stanze della sua Fabbrica dei Ricordi, spazi simbolici dove riscoprirsi e raccontarsi. Attualmente, Marco è impegnato con i suoi collaboratori alla stesura e all'arrangiamento delle musiche per racconto un da lui ideato ed intitolato "La Metamorfosi"; si tratta di un progetto artistico ad ampio raggio che prevede, oltre alla dimensione sonora e a quella narrativa,
illustrazioni e rappresentazione scenica.


Sito ufficiale:



domenica 26 febbraio 2012

Nora Dei -"One I Love"



Esce per l'etichetta alternativa Musik Research il singolo "One I Love" della cantante-pianista Nora Dei. Il brano è un rifacimento della mitica "Blacklady Kiss" presente nell'album "Pre Viam" prodotto dal chitarrista Antonio Bartoccetti che per l'occasione, oltre la sua inseparabile Gibson, ha inserito nella nuova versione anche un'ulteriore parte melodica costruita appositamente per la giovane vocalist. Particolarissimo, devastante ma sognante e deliziosamente dark, il suono di Nora Dei si segnala come una mistura gotico-magica, unica fra background classicistico messo a bollire in una vecchia pentola stracolma di emozioni celtiche e sensazioni tipicamente gotiche e malinconiche, piene di lacrime e pioggia. Il brano (come tutti gli ultimi brani di Bartoccetti), prima di essere stato inciso, ha goduto di una sua propria sceneggiatura flmografica e di una ben definita fonte di ispirazione.... per questo è stato realizzato il video omonimo. Il segreto dell'artista è il senso di mistero che riesce a trasmettere con la sua particolarissima voce, è l'alone di tristezza-amore che avvolge la sua musica, per indurre nell'ascoltatore un irrazionale stato di trance... l'album si chiamerà "Gothic Trance". E' un lavoro anche "visivo" che, grazie al pianoforte con "fermo immagine", entra nella mente e basta un ascolto "coinvolto" per calarsi in un doom frammentato, visionario, esoterico, oscuro, della giovanissima artista. "One I Love", grazie alle joint venture in area digitale della Musik Research, è presente naturalmente su iTunes e nella maggior parte dei portali musicali internazionali. Annunciamo che il prossimo singolo di Nora Dei è una scelta più che coraggiosa che emozionerà tutti i sostenitori sine die del "progressive" più puro.


sabato 25 febbraio 2012

SAD MINSTREL in concerto



Sabato 25 Febbraio 2012 – ore 15.30
GENOVA – piazza Fossatello

nell’ambito delle manifestazioni per l’inaugurazione del negozio/museo VIA DEL CAMPO 29 ROSSO, ex-Gianni Tassio


Sad Minstrel
in concerto

Il progetto SAD MINSTREL si presenta questa volta a GENOVA in piazza FOSSATELLO, portando la sua proposta di rock progressivo. I pezzi, quasi tutti composti dalla band, sono prevalentemente figli del rock storico degli anni ’70, quello dei Genesis e dei Jethro Tull, degli Yes e dei Pink Floyd, con l’aggiunta di influenze folk, hard rock, dark e ballate acustiche, in un concerto
dai toni a volte rarefatti e sognanti e a volte energici e coinvolgenti, basato sulle composizioni del primo disco “THE FLIGHT OF THE PHOENIX” (Black Widow 2003) e sui nuovi brani inediti. Per l’occasione si punterà maggiormente l’attenzione sui brani ispirati al folk e alle ballate, visto il contesto dell’evento. Sono previste due canzoni in dialetto genovese, mentre gli altri pezzi sono cantati in inglese.

La nostra presenza vuole ricordare il punto d’incontro tra la canzone d’autore e la scuola del rock progressivo a Genova, due indiscusse realtà del nostro ambito musicale negli anni Sessanta/Settanta, compiutosi con lo storico album dei New Trolls “Senza orario senza bandiera” su testi di Fabrizio De Andrè.

Il progetto SAD MINSTREL nasce dall’iniziativa di FABIO CASANOVA, tastierista dei primi due album di MALOMBRA (“MALOMBRA”, Black Widow 1993, e “OUR LADY OF THE BONES”, Black Widow 1996). Fabio ha realizzato il debut album “THE FLIGHT OF THE PHOENIX” come lavoro solista, componendo e registrando da solo tutti i brani, e ha poi costituito una band per proporli dal vivo, con cui in seguito è cominciata un’attività artistica e compositiva comune.

Oggi Fabio è passato da dietro alle tastiere alla posizione avanzata in mezzo al palco, alle prese con prima voce, chitarra elettrica ed acustica e interventi di flauto irlandese.

Gli altri componenti del gruppo sono:

* LUCA “TUFFA” TUFFANELLI – chitarra elettrica e mandolino
* EMANUELE “LELE” TRAVERSO – tastiere e voce
* STEFANO TOALDO – batteria
* GIULIA “CHICCA” CARLINI – flauto traverso e voce
* FABRIZIO NUOVIBRI – basso

SAD MINSTREL su Facebook :
http://www.facebook.com/pages/Sad-Minstrel/170928712941452?v=wall





giovedì 23 febbraio 2012

Raven Sad-" Layers of Stratosphere"




LAYERS OF STRATOSPHEREè  un album dei Raven Sad, gruppo di cui presento una biografia a fine post, oltre ad una esaustiva intervista ... a tre.
Per chi come me si avvicina ad un nuovo album cercando di mantenere una sorta di rito,  simile a quello del vinile del passato- ma forse anche del futuro- la lettura delle note di copertina fornisce molte chiavi di lettura, atraverso  l’interpretazione delle immagini, la lettura dei testi, i credits, la strumentazione utilizzata e i possibili commenti. Anche i ringraziamenti sono per me oggetto di interesse. Tutto ciò indirizza e condiziona l’ascolto e spesso è bello lasciarsi andare nel cercare di trovare corrispondenza tra la musica che sgorga spontanea e l’immagine che ci si crea attraverso l’art work.
Intanto evidenzio che i “layers of stratosphere" indicati dalla band si dimostrano incredibilmente coinvolgenti. Ci vuole sensibilità, desiderio di lasciarsi andare, voglia di soffrire e gioire attraverso suoni che… penetrano. Non occorre essere esperti di musica, magari giova pure  essere “puri”, ma decidere di provare a sintonizzarsi sulle onde dei Raven Sad significa partire per un viaggio che non può lasciare indifferenti.
Tutto contribuisce a rendere “LAYERS OF STRATOSPHERE” un’esperienza musicale che porta verso … qualcos’altro. Un musica che amo definire” liquida”, con un tocco “gilmouriano” e atmosfere tra il cupo e il riflessivo, viene impreziosita dalla voce di Santanna (ma che belli gli interventi di Camilla Gai!), che attraverso liriche in lingua inglese- semplici e intuitive- fornisce una dimensione onirica che può mettere i brividi. La fortuna di Samuele non é quella di possedere una bella voce, ma una gran voce, dalla timbrica particolare e assolutamente adatta alla proposta. Casualità o studio ad hoc?
Ho provato a seguire i testi mentre la musica scorreva, senza pensare troppo, senza cercare affinità  musicali col passato, e ho provato emozioni decisamente rilevanti. Questo è ciò che pretendo dai miei ascolti… questo è ciò che vorrei spiegare a neofiti e pseudo esperti … un dischetto, un lettore e un’ora da condividere con qualche amico virtuoso che abbia la curiosità di scoprire il talento e le idee del vicino di casa.
Sono certo che la versione live non deluderà l’audience! 




L’INTERVISTA


 B: SIMONE BORSI     S: SAMUELE SANTANNA


Partiamo dal nome della band, elemento a volte “folkloristico”, ma che è spesso  legato, magari inconsciamente, alla musica che si decide di proporre e al feeling del momento. Perché “Raven Sad”?

B: L’idea del nome, Raven Sad, nasce prima della band stessa, frutto della passione di Samuele Santanna per i racconti del mistero (infatti, Raven e’ un famoso racconto di Edgar Alan Poe) e per l’atmosfere, diciamo, non propriamente “allegre”.

Che cosa vi ha fatto innamorare della musica e quali sono i vostri musicisti di riferimento?

B: Rispondere alla prima parte della domanda può essere semplice e complicato allo stesso tempo, e la risposta può esser breve o infinita. Addirittura, potremmo rispondere con un’altra domanda: ” Cosa ci fa innamorare della vita, del sole e delle cose belle ?” Chiunque ascolti musica viene investito da un mare di emozioni e sensazioni, beh fare musica ti da’ qualcosa in più … perchè si e’ artefici di queste emozioni. Possiamo tranquillamente ammettere di essere grandi amanti dei Pink Floyd, ma molti sono i nomi che hanno influenzato il nostro fare musica, ne cito alcuni : Porcupine Tree, Camel, Marillon, etc…

Raccontatemi qualcosa sulla vostra dimensione live e sull’interazione che riuscite a creare con l’audience.

S: Ci piacerebbe poterti raccontare molto sul live, ma non abbiamo avuto ancora la possibilità di esibirci dal vivo, se non in un paio di occasioni all’indomani dell’uscita di We are not Alone. Speriamo di poterlo fare presto.

Quanto spazio dedicate alla sperimentazione e alle nuove tecnologie applicate alla musica?

S: Siamo un gruppo vecchia maniera, ci ritroviamo come dei vecchi amici in una sala prove in campagna, seppur ben attrezzata, ci attacchiamo all’amplificatore e suoniamo sulle idee musicali che ci vengono in mente. Cerchiamo di suonare  relegando alle macchine compiti il più possibile marginali. Sui primi due album invece l’apporto della computer music è stato più massiccio.

 Che cosa amate delle liriche in lingua inglese, oltre alla facilità della  “metrica”?  

B:Tale scelta nasce puramente dal desiderio di comunicare le proprie emozioni  con un linguaggio universale e comprensibile da tutti.

“Layers of Stratosphere", dopo un paio di ascolti, mi appare come “terapeutico”, nel senso dell’aiuto a lasciarsi andare con la mente, almeno per un attimo. Si riesce a provare un feeling simile anche davanti ad un pubblico, suonando le proprie creazioni?

S:Lo sarà sicuramente, quando riusciremo ad esibirci.

Cosa significa per voi essere distribuiti dalla Lizard Records?

B: E’ una grande soddisfazione avere l’onore di essere appoggiati da un’etichetta simile. Ringraziamo di cuore Loris per tutto.

Vorrei una vostra opinione sullo stato attuale della musica, dai “talent”, a internet, al businnes in generale. 

S: La situazione è a mio parere critica. Internet doveva ampliare le possibilità per una band di diffondere la propria musica e invece si è finiti per essere ingoiati da un sistema perverso fatto di illegalità e approssimazione  giornalistica. Per il “talent” se ti riferisci ai talent show modello X Factor, non sono del tutto contrario, penso ci debba essere posto per tutti, e quindi anche per chi ha una concezione diversa della propria missione musicale. Tuttavia credo che il talent sia un’evoluzione fisiologica della musica di consumo. A questo mi viene da aggiungere che quantomeno nella musica commerciale, bella o brutta che sia, un’evoluzione ci sia comunque stata, a prescindere dai risultati artistici. Nel nostro settore siamo invece fermi a rimasterizzare i lavori degli anni 60/70, dando troppo poco spazio e visibilità alle nuove realtà. Quindi tanto di cappello a chi individua nuove vie di fuga nel proprio settore; dalle nostre parti si parla invece molto, e si conclude troppo spesso molto poco.  Detto questo, tutto ciò che è business a noi non interessa granché: suoniamo essenzialmente per passione e non intendiamo farne un lavoro. Anche perché al giorno d’oggi è praticamente impossibile. 


Per uno strano fenomeno che reputo più culturale che economico, in Italia si fa fatica a far pagare il giusto prezzo per un concerto, mentre ad esempio in oriente, è la norma sborsare cifre consistenti per della musica, magari anche di estrema nicchia. E’ solo questione di minor disponibilità o c’è sotto di più? Esiste una speranza per la musica, che io definisco di qualità, di venire completamente allo scoperto?


B:Questo paese pecca in tutti i campi culturali, maggiormente in quello musicale. Sicuramente i giovani non vengono aiutati affatto a dare una svolta a questo imbarbarimento. Come si dice?! La speranza e’ l’ultima a morire… e allora, speriamo !



Ed ora il solito sogno di fine intervista. Cosa vorreste realizzare, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?


B:Realizzare almeno un altro CD ed essere soddisfatti nel riascoltarlo ! 






LAYERS OF STRATOSPHERE

1. DOOR ALMOST CLOSED
2. LIES IN THE SAND
3. FIRST LAYER
4. MIND FLIES
5. THE HIGHEST CLIFF
6. SECOND LAYER
7. LULLABY FOR A SON

 Line up

Giulio Bizzarri - Bass
Simone Borsi - Drums, Percussions, Gong
Samuele Santanna - Vocals, Electric and Acoustic Guitars, Gong, Synth
Fabrizio Trinci - Piano, Organ, Hammond, Synth, Backing Vocals
Guest Musicians: Claudio Carboni - Soprano & Tenor Sax on “Lullaby for a Son”
Camilla Gai - Backing Vocals on “Lies in the Sand” and “The Highest Cliff”


Biografia

Il progetto Raven Sad nasce nel 2005 da un'idea di Samuele Santanna, musicista pratese di estrazione psichedelico/progressiva, da diversi anni inserito nel circuito underground toscano. Il primo demo "Raven Sad and other stories" viene inciso in pochi giorni ed inviato alle più importanti etichette discografiche indipendenti. Sono in molte a rispondere, ma Lizard Records rapp...resenta la scelta più idonea. La musica di Samuele è infatti stilisticamente aperta e difficilmente catalogabile e questo ben si sposa con la filosofia dell'etichetta di Loris Furlan. Quest'ultimo propone a Samuele la collaborazione con Marco Tuppo (già leader dei Nema Niko), con lo scopo di dare alle sue composizioni un tocco maggiormente elettronico ed alienante, senza snaturare le inclinazioni psych/prog/folk di Samuele.
Da questa esperienza nasce il primo studio-album ufficiale targato Raven Sad, "Quoth", che oltre a Marco Tuppo vede la partecipazione di molti altri musicisti. Non a caso Samuele riferendosi a Raven Sad parla spesso di "Laboratorio di sperimentazione emozionale", volendo evidenziare l'apertura del progetto verso collaborazioni con altri musicisti, con lo scopo comune di percorrere insieme le vie delle emozioni. "Quoth", riscuotendo ottime recensioni e raggiungendo le finali di Progawards nella categoria "Best debut album", veicola il nome Raven Sad nell'ambiente Progressive italiano, ed anche in quello internazionale.
Senza perdere tempo, Samuele, forte dell'esperienza del primo album e col piglio tipico del polistrumentista/produttore, compone e registra un altro album, "We are not alone", pubblicato da Lizard nel luglio del 2009. Si tratta di un concept basato su interrogativi di carattere cosmico, in cui l'autore si domanda se i terrestri siano l'unica razza intelligente ad abitare l'universo. Non si vuole fornire risposte scientifiche a riguardo, piuttosto "We are not alone" si pone come ideale colonna sonora di possibili riflessioni su questo tema. Musicalmente, in questa nuova opera, vengono maggiormente marcati i ricordi pinkfloydiani ed ambient, da sempre nel background dell'autore. Anche se in modo meno massiccio, anche "We are not alone" vede la partecipazione di altri musicisti, tra i quali si distinguono Fabrizio Trinci, Marco Chiappini dei Gandalf's Project e il jazzista Gilberto Giusto, quest'ultimo al sax. La critica accoglie benissimo il disco e viene nuovamente nominato da Progawards nelle categorie "Best Italian Album" e "Best Artwork".
Intanto si programmano attività live e nuove collaborazioni artistiche. Con l'intenzione di portare il progetto dal vivo, Samuele comincia a pensare ad una vera e propria band. E' cosi che quindi Raven Sad diventa una vera e propria band abbandonando di fatto lo status di one man project. Il tastierista Fabrizio Trinci che già aveva prestato le sue tastiere sia su Quoth che su We are not alone, entra in pianta stabile e con lui si aggiungono Simone Borsi alla batteria e Leonardo Barontini al basso. Con questa nuova configurazione i Raven Sad partecipano al record store day a prato, registrano una puntata di SONAR per la web tv UNOTV e si accingono a comporre e registrare il terzo e nuovo album. Proprio alla vigilia delle registrazioni del terzo album Leonardo Barontini lascia la band e al suo posto entra Giulio Bizzarri, un vecchio amico della band, col quale terminano le registrazioni di "Layers Of Stratosphere", l'ultimo lavoro dei Raven Sad uscito a Dicembre 2011.